Mercoledì, 02 Maggio 2012 13:58

Intervista al Cardinale Tomáš Špidlík

Scritto da  Gerardo

Il Cardinale Tomáš Špidlík fu nostro ospite durante gli incontri promossi dal museo delle icone russe di Peccioli.
La sua opera rappresenta un unicum nella riflessione teologica della seconda metà del XX secolo ed è frutto di anni di ricerca e riflessione, volti a superare la secolare spaccatura tra l'Oriente e l'Occidente cristiani. Per molti anni padre Špidlík è stato docente di teologia spirituale patristica e orientale alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Orientale.
Ci fa piacere ricordarlo (Arnaldo Nesti).



LA VITA ETERNA È INCONTRO CON GLI AMICI"

Intervista al Cardinale Tomáš Špidlík ("L'Osservatore Romano", 16 dicembre 2009)


Ø Eminenza, oggi si parla molto di evangelizzazione dell'Europa, dove il cristianesimo si ritrova sempre più ai margini. Come inquadrare il problema?

Quando si parla di evangelizzazione diffido delle definizioni e delle dichiarazioni. Non credo tanto nei grandi proclami. Poco importa l'essere pessimisti o, al contrario, essere ottimisti. Questi atteggiamenti non toccano il fondo del problema. La questione è di un altro ordine. A mio avviso la cultura europea è arrivata ad un capolinea in quanto non è riuscita ad armonizzare i tre fondamenti sui quali si è costruita: il pensiero greco, il diritto romano e la Bibbia. Se nel corso della storia il pensiero greco e il diritto romano si sono potuti ben conciliare tra di loro, non è stato così con il pensiero cristiano. La cultura europea si fonda sul pensiero fatto legge. I Greci trovarono il giusto pensiero universale e questo pensiero universale lo tramutarono in legge. Così nacque la polis, la città greca. I Romani applicarono quest'acquisizione in tutto il mondo conosciuto: il diritto è basato sul pensiero migliore. La nostra democrazia è fondata su questo principio. Ad esempio, trovare il pensiero migliore sulla legge finanziaria per poi obbligare tutti a seguirla. Ora, la Bibbia ci mostra un Dio Padre, che agisce in modo del tutto libero. Non è legato alla legge, è la legge che è il risultato della sua libertà. Questo ribaltamento dei criteri non viene accettato. Nel contesto culturale e religioso del Medioevo, ad esempio, ci sono sempre state due società: quella ecclesiale e quella statale. Queste o si combattevano o facevano concordati.
Nel nostro contesto, però, siccome il mondo non è più religioso, ma laicizzato, il cristianesimo si trova ai margini. Abbiamo, perciò, solo la legge uguale per tutti. Per cui il senso del Crocifisso è: un uomo fu condannato a morte secondo la legge. In altre parole, non si è trovata la possibilità di inserire la libertà nell'ordine. Si vive "La leggenda del Grande Inquisitore" di Dostoevskij, che ripone l'irrisolto problema tra la libertà e la legge. L'Europa ha bisogno del cristianesimo per risolvere le proprie contraddizioni. Questo è compito dei cristiani, non dello Stato. Non è lo Stato che è chiamato a risolvere i problemi dei cristiani, ma noi cristiani dobbiamo insegnare agli uomini che vivono nello Stato ad avere un altro atteggiamento.


Ø Quale, dunque, l'atteggiamento che il cristiano è chiamato a tenere?
Spiegare che cosa è la persona e che cosa è la libertà. La prima cosa da fare è affrontare il discorso della natura. Suona molto bene dire: vivere secondo la natura. Sappiamo che la natura è ciò che è comune a tutti gli uomini. Kant dice che è morale ciò che possono fare tutti. Se questo concetto lo si applicasse all'arte, comporterebbe che è bello ciò che possono dipingere tutti. Evidentemente non è così! Ora, se questa definizione non è adeguata per l'arte, come lo può essere per la religione, dove ognuno ha la propria vocazione? Questo è un livellamento dove non c'è libertà personale. Questa è la morale secondo la natura, secondo la legge. Il principio viene concepito come indipendente dalla persona. È una cosa astratta, valida, eterna, a sé stante e la persona deve entrare dentro il principio. In contrapposizione a questo appiattimento sulla natura, si è sviluppato in Europa il personalismo: la rivolta contro la società dell'ordine.
Come nasce allora la persona? Nella relazione con gli altri. È persona chi ha una relazione libera con gli altri. Chi è immerso in un fascio di relazioni, chi vive di molte relazioni, possiede una grande personalità. Bisogna però stare attenti, perché anche il personalismo può produrre delle storture. A Praga mi hanno raccontato che ad un programma alla televisione c'erano due filosofi dei valori insieme ad un prete cattolico e ad un pastore evangelico che parlavano di divorzio e di aborto. Uno di questi due filosofi, che conosco abbastanza bene perché era stato qui a Roma, diceva: "I principi sono astratti, ma non sono valori, i valori nascono soltanto dalla relazione personale. Dunque quello del matrimonio indissolubile è un principio astratto, ma se il marito non ama la moglie, il matrimonio non esiste e devono divorziare; lo stesso se la mamma non vuole accettare il bambino: non c'è relazione tra la mamma e il bambino, è solo una relazione animale, manca il valore, dunque può fare l'aborto".
Gli altri due evidentemente, sia il prete cattolico che il pastore evangelico, affermavano il valore dei principi. Ed è finita male, perché non si vedeva come rispondere a queste obiezioni. Mi hanno chiesto cosa avrei detto io. Ho risposto: "Sono dalla parte del filosofo dei valori: il valore nasce dalla relazione con la persona.
Aggiungo, però, che bisogna considerare che esiste una relazione non solo tra le persone umane, ma anche con la persona di Dio". Dice Dostoevskij che, se non esiste Dio, è permesso tutto, perché alla fine, se uno ha soldi e io non ne ho, se non ho una relazione con lui, per me non ha valore e posso anche ammazzarlo. Se si perde la relazione con Dio tutto è permesso e il personalismo diventa la giustificazione della mafia. È questa l'esatta riproduzione della società in cui viviamo: abbiamo l'ordine statale e contemporaneamente la mafia, la polizia e la mafia. Non vedo altra soluzione al problema se non la relazione con Cristo.
A noi cristiani il compito di mostrarlo, non di dimostrarlo. Io credo che la gente sia molto sensibile a questo messaggio, proprio a causa del fatto che essendo la religione relegata alla sfera privata, nessuno più osa dire chiaramente che senza Cristo non si risolve il problema.


Ø La relazione con Cristo quando o come diviene visibile?

La relazione con Cristo non è un catechismo, un'altra legge su Cristo. Bisogna fare come fa Dostoevskij nei suoi romanzi. Egli non nomina mai Cristo, parla dell'uomo e mostra dove arriva l'uomo al di fuori di Cristo. È il caso de I fratelli Karamazov. Il vecchio Karamazov , tutto libero nel sesso, come finisce? Ucciso dal figlio illegittimo. Ivan, il razionalista, finisce pazzo. Dimitrij, il libertino, finisce in prigione in Siberia. Solo Aljosja, che si identifica con Cristo, può fare quello che vuole e non distrugge niente. Quanto detto ha anche implicazioni per la missio ad gentes. Una volta all'Istituto Orientale di Roma, dove insegnavo, si presentò una monaca buddista. Studiava religioni comparate in Svizzera. Voleva parlare con me della mistica cristiana. Tutto ciò che diceva sugli schemi mistici cristiani, più o meno lo conosceva dallo studio della religione buddista. Voleva sapere la differenza che passava tra il cristianesimo e il buddismo. A mia volta le chiesi che cosa volesse raggiungere quando pregava. La sua risposta fu ovviamente: "L'unione con Dio". La risposta alla mia successiva domanda, cioè se qualcuno avesse mai raggiunto in questa vita la perfetta unione con Dio, fu così bella che la feci stampare su "L'Osservatore Romano". "Questo è il desiderio di tutti gli uomini, di tutte le religioni - disse - ma in questa vita nessuno ha mai raggiunto la perfetta unione con Dio". Orbene, noi cristiani crediamo nella persona di Gesù Cristo. In Lui Dio ed uomo sono perfettamente uniti, perciò la nostra preghiera si fa per mezzo di Gesù Cristo. Questa è la differenza tra i buddisti e i cristiani. Dunque la verità cristiana non consiste principalmente nell'insegnare una dottrina diversa, ma soprattutto nel dar senso a ciò che gli uomini desiderano nel proprio cuore. In Gesù Cristo più l'uomo si unisce a Dio, più l'uomo diventa uomo.


Ø Chi la conosce sa che Lei privilegia la persona sui sistemi, l'amicizia sulle grandi teorie. Potrebbe meglio spiegarci queste sue convinzioni?

Bisogna coltivare la persona. La persona è relazione di amore. Il primo grado è l'amicizia. Tutti i fondatori di ordini religiosi avevano amici. Non che pensassero già sin dall'inizio a fondare un istituto: Francesco i Francescani, Ignazio i Gesuiti. E neppure che si sentissero obbligati a scrivere una regola, quasi per voler difendere la propria vita. No, avevano degli amici intorno a loro e per regolare un po' la vita comune scrissero una regola, come espressione della loro amicizia. Faccio un esempio. Uno studente del collegio americano non voleva nel modo più assoluto arrivare in tempo per la preghiera comune. Era sempre in ritardo. Diceva: "Io non sono un numero, un robot che comincia a pregare a comando, quando suona la campanella. Questa pratica è così umiliante che non la posso seguire". Gli fu detto: "Sei venuto qui per stare in un albergo o per stare con gli amici?". Ecco, gli amici vogliono pregare insieme, dunque si mettono d'accordo che la preghiera comincia ad una data ora. Non si prega perché suona la campanella alle 12, ma perché uno vuol pregare con gli amici. Allora la regola comincia ad avere significato. Anche Gesù aveva amici. E gli amici raccontarono quello che Gesù aveva insegnato loro. Poi conclusero che era meglio mettere per iscritto qualcosa, altrimenti si sarebbe corso il rischio di perdere tutto quello che avevano visto ed udito. Così nacquero i vangeli. Alle origini non si è partiti dai dogmi, ma dall'esperienza degli Apostoli con Gesù. Poi si invertì il procedimento: si partì dai dogmi per scendere alla vita. Il Concilio Vaticano II ha rovesciato felicemente la prospettiva. Afferma che la Chiesa è prima mistero e poi sacramento. Non il contrario. Prima si vive e, poi, questa vita cerca di formularsi bene. Questo ha permesso tra l'altro l'ecumenismo.


Ø La Sua visione di fede poggia su un cardine fondamentale del credo cristiano: il mistero della Trinità. In che senso questo mistero modifica essenzialmente la nostra relazione con Dio e con gli uomini, anche all'interno di una comunità religiosa?

Ci si deve porre la domanda se si debba partire dalla natura o dalla persona. Se si dice: "Credo in un solo Dio", e là ci sono il Padre, il Figlio e lo Spirito, accentuiamo l'unità della natura. Non importa allora il numero delle persone: che siano tre o quattro o cinque poco interessa. Kant diceva di non capire cosa potesse significare il mistero della Trinità per la vita concreta. Se il più grande mistero della fede cristiana non significa niente per la vita, siamo davvero nei guai. La nostra fede dichiara: credo in un solo Dio Padre. Questo Padre ha un Figlio e lo Spirito Santo fa comprendere come le tre persone si uniscono in una sola natura. Questo è il simbolo della Chiesa. Al Concilio Vaticano II nella Lumen gentium, su pressione del Cardinale Suenens, fu sostituita la definizione di Chiesa "corpo di Cristo" con quella di "popolo di Dio". I Vescovi brontolavano perché non si poteva sostituire quell'espressione paolina, in quanto sottolineava bene l'unità. Ma le membra del corpo non sono persone. La definizione di "popolo di Dio" evidenzia, invece, le persone che formano la Chiesa. Sottolinea la collegialità, il dialogo mutuo nella libertà, che confluisce poi nell'unità della Chiesa. La Chiesa è riflesso della Trinità, dunque le relazioni personali sono primarie rispetto alle strutture. Ora, la riflessione sulla Trinità ci insegna ad avere anche tra di noi, uomini, relazioni libere. Però dobbiamo anche sapere che una libertà senza relazioni conduce all'egoismo. Lo stesso vale per la vita religiosa. Se non si crea l'amicizia tra i membri si verifica quella tragedia propria a molte case religiose: si vive insieme e non ci si conosce, muore qualcuno e non lo si piange. Si vive come in un albergo. Non voglio fare nomi, ma una volta sono entrato in una casa religiosa dove c'erano ancora alcuni religiosi anziani. Ognuno aveva il suo frigorifero, la sua televisione... Mi sono chiesto: che cosa resta della vita religiosa se si vive come in un vero e proprio albergo? Certo, quei religiosi non fanno male a nessuno. Ma anche se uno vive in un albergo non fa male a nessuno. Insomma non si può parlare di vita religiosa, di vita comune. La vita religiosa è concepita come piccola Chiesa: se la Chiesa non ha contatti, relazioni, non è Chiesa, non è sacramento dell'unità. Lo stesso vale per la vita religiosa. Intesa in questa maniera tradisce la sua vocazione e non esprime certamente l'amicizia e la comunione fraterna.


Ø Il modello di tutta la perfezione è Cristo, ma una guida che ci conduce ad avvicinarci a questo ideale non si trova nei libri o nei manuali di comportamento; è, piuttosto, l'esperienza storica e concreta della paternità spirituale.

Sì, un tempo la guida a Cristo era il padre spirituale. Ai nostri giorni e proprio nella Chiesa, la figura del padre spirituale è finita in secondo piano. Questa è una grande perdita. Io lo provo sempre storicamente. Nel monachesimo russo ci fu un primo tempo di grande fioritura. Nel secolo XV subentrò una profonda decadenza. Emersero in seguito le figure di due grandi riformatori. Il primo fu Giuseppe di Volokolamsk, un tradizionalista. Predicava che la decadenza era frutto della non osservanza di tutto ciò che i Fondatori e i Santi Padri avevano tramandato e proponeva un ritorno alla rigida osservanza delle fonti. Il secondo riformatore era Nil Sorskij, un progressista. Intorno a lui fiorì il movimento esicasta. Sosteneva che la decadenza era dovuta al fatto che si voleva vivere secondo schemi antichi, mentre il mondo era cambiato. Bisognava per questo adattarsi ai tempi. Quale tra i due ha avuto successo? La storia dimostra che ambedue lo hanno avuto per due o tre generazioni, per poi ripiombare di nuovo nella decadenza.


Ø Il vero rinnovamento del monachesimo si è verificato con gli startzi, i grandi padri spirituali. Perché?

Perché il padre spirituale non conosce solo la legge, ma conosce la persona. Il moralista conosce perfettamente la legge, ma non il cuore. Invece il padre spirituale legge il cuore della persona. La paternità spirituale non è legata all'esercizio dei sacramenti o a qualcosa di straordinario. La paternità spirituale è dono dello Spirito e rimanda alla paternità divina. Io dico che noi latini abbiamo falsificato il Credo, non con il filioque, ma con una virgola. Noi diciamo: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente. Invece il primo articolo è: Credo in un solo Dio Padre. Credo, cioè, nella paternità divina. Infatti, credere in Dio è comune a tutte le religioni. Ma che questo Dio sia Padre è solo dei cristiani. La via che conduce alla paternità divina non passa attraverso la legge, fosse anche la più perfetta, ma attraverso la paternità dei padri spirituali, uomini ripieni dello Spirito divino. La Chiesa ha bisogno dei padri spirituali. Non è vero che la gente non vuole ascoltare. La gente è alla ricerca di una parola di vita.


Ø Può dirci che cosa di unico può apportare l'esperienza della missione "ad gentes" all'esistenza cristiana?

La questione è la nostra fede, perché il bene cresce da solo. Quando venni a Roma, negli anni cinquanta, c'era il problema dell'India. Si cercavano disperatamente missionari per mantenere in vita quelle Chiese. Adesso si è invertito il flusso e gli indiani vengono in Europa. Il seme ha la forza di crescere in se stesso. Il bene cresce. Ad un socialista italiano che mi chiedeva: "Mi dica, i preti sono migliori di noi?", risposi: "No, se lo dicessi sarei un fariseo. Io ho un vantaggio - aggiunsi - quando pecco ho fede che Dio perdona. Voi, invece, credete solo nella giustizia. Io sono in vantaggio, perché credo nel perdono dei peccati. Voi, invece, credete nella vendetta dello Stato". Saper mostrare che abbiamo qualcosa da offrire. Essere capaci di suscitare la reazione della gente che dice: quando sto con voi sto bene. Vorrei stare con voi. Non perché avete una dottrina migliore degli altri. Questa la leggo nei libri. Ma perché con voi mi sento bene. Quando uno mi chiede perché ho scelto di entrare nei Gesuiti, rispondo che io non ho scelto niente. Sono capitato dai Gesuiti per pura disgrazia, perché nel mio paese avevano chiuso le università. Questo, come alcuni pensano, potrebbe diminuire il significato della vocazione. Sì, l'osservazione può essere corretta. Ma una volta arrivato dai Gesuiti ho trovato che ero nel posto giusto ed ho acconsentito a rimanere. L'acconsentire presuppone una libertà maggiore che lo scegliere. Dire io scelgo non è garanzia di una vera scelta. Può essere un grillo della testa, qualcosa di passeggero. Invece, scoprire che grazie a Dio ti trovi nel posto giusto e acconsentire a restarci, è sicuramente una scelta. Ritornando, quindi, al discorso sul senso della missione, il primo missionario è Dio, non sono io. È Dio che ama gli uomini e li chiama. Io devo leggere i segni, vedere come Lui li chiama. Li può chiamare in tanti modi. All'inizio li può chiamare con un impegno, poi in un'altra maniera, fino a quando non trovano il giusto posto.


Ø Lei sottolinea sempre l'importanza del cuore, perché?

Quando scrissi il libro sul cuore, su Teofane il Recluso, la censura non era pronta a pubblicarlo. Fui accusato di sentimentalismo slavo. Prima della pubblicazione in francese passò molto tempo. Ora il libro è pubblicato in italiano dalla Libreria Editrice Vaticana e all'Istituto Orientale lo ha presentato il Segretario stesso dell'ex Santo Uffizio. C'era molta diffidenza all'inizio, poiché mi si diceva che la vera razionalità implica l'esercizio della volontà, dell'ascetica, della prudenza. Il cuore non rientrava in queste categorie. "L'Osservatore Romano" pubblicò in seguito la presentazione e la mia introduzione al libro. Nel 1985 il Papa mi scrisse una lettera di apprezzamento per aver introdotto la ricchezza della spiritualità orientale in tutta la Chiesa. Uno dei primi che si congratulò con me fu il Patriarca di Costantinopoli. Anche il Patriarca di Mosca mi mostrò la sua amicizia regalandomi una medaglia d'oro per quello che avevo scritto. Che cos'è il cuore, allora? Il cuore rappresenta l'uomo preso nella sua totalità, in tutte le sue relazioni. La vita suppone l'integrità dell'uomo, la collaborazione armoniosa di tutte le facoltà e questa si esprime meglio con il termine "cuore". In altre parole il cuore è la persona. Come dice la Bibbia: sei tale e quale come sei nel tuo cuore.
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